Eugenio

Il diciannove Aprile del 2004(alla 24.ma settimana di gestazione) verso le 5 di mattina, mentre sto ancora dormendo, sento che si sono rotte le acque.

Chiamo disperata il mio ginecologo che mi dice di non andare nel suo ospedale, dove lui è primario, (ogni visita 170,00 euro e non mi aveva neanche detto che per le emergenze non erano attrezzati) ma di recarmi al Policlinico Gemelli di Roma dove hanno un reparto per i prematuri.

Arrivo e subito il medico che mi visita mi dice delle poche probabilità che il bambino sopravviva: comunque mi fanno la prima iniezione di surfattante per permettere al bambino di maturare i polmoni il piu' velocemente possibile.

Passo 11 giorni in ospedale mangiando tutto quello che il ginecologo privato mi aveva vietato dandomi una dieta molto rigida nonostante io non avessi problemi di sorta ma secondo lui data la mia età (39 anni) dovevo stare attenta a mangiare per la salute del bambino.

In ospedale mi trovano due tipi di infezioni che probabilmente hanno causato la rottura del sacco: chiedo se l'amniocentesi può aver determinato le infezioni ma mi dicono che è passato troppo tempo da quando l'ho fatta a quando si è determinata la rottura del sacco. Scopro solo dopo che si consiglia prima e dopo aver praticato l'amniocentesi di prendere, a scopo cautelativo, un antibiotico....
L'8 maggio, data in cui avrei dovuto effettuare un innesto di liquido nella pancia per permettere al bambino di continuare a crescere, si nota una sofferenza del piccolo e si decide un intervento di urgenza. Nasce Eugenio, lo sento piangere e di corsa viene trasportato in terapia intensiva. pesa 930 gr è lungo 37 cm. Seguono 4 trasfusioni, 558 ore di nasocannule e 84 ore di ossigenoterapia.

Seguono giorni di, "va' un po' meglio" a "va' un po' peggio" di sedute dalla neuropschiatra che ci parla di sensi di colpa della madre (ma quali sensi di colpa, qui si lotta per sopravvivere, non si ha tempo di stare a riflettere: si cerca di trasmettere con il poco contatto che si ha con il bambino, forza e tranquillità...), parlare con i dottori ( il primario di terapia intensiva che non si vedeva mai ma a cui piaceva tanto ricevere ogni lunedì i genitori che ci dice"sapete la situazione di vostro figlio è grave, pesava solo 9 kg alla nascita ( e non si sa se ridere o piangere ); gli infermieri nevrotici (a parte qualche rara eccezione) che quando suonavano gli allarmi arrivavano solo per spegnerli (a parte quelli bravi (pochi)che invece controllavano la situazione), il medico che mentre guardava i parametri di una prematura sentendo il suo pianto prende le chiavi che ha in mano e, sbattendole sulla plastica della culletta dice, testuali parole, " a mammeta", i bambini che non ce la fanno, il rito del lavarsi bene le mani, mettersi il camice le copriscarpe e invece vedere entrare prete e seguito di persone con chitarra statua della madonna dentro senza nessuna precauzione igienica.

Sentirsi dire, "appena sta meglio portatevelo via di corsa che qui le infezioni sono in agguato", lasciarlo la sera con le apnee e vedere gli infermieri dentro la loro stanza che è dentro la sala di terapia (proprio tra la intensiva e le sub intensive), si preparano gli spaghettti aglio e olio, vedono la tv e lasciarlo in queste mani così poco premurose, così abituate a vedere questi piccoli esserini che lottano anche da soli, come possono e sperare nella divina provvidenza.....

Sentire le infermiere chiamare "reparto abortivo" la terapia intensiva, vedere un padre che, oltre l'orario di visita, vorrebbe vedere il figlio appena nato e chiede che vengano alzate le tendine per pochi secondi e sentire le infermiere rispondere "cosa vuol vedere un mucchietto d'ossa" e vedere una mamma che ha appena partorito piangere di commozione o disperazione o tutte e due e sentire le infermiere dire"che cazzo si piange quella stronza "...

Nonostante i lutti per gli altri piccoli che non ce l'hanno fatta, uscire una bellissima giornata del 19 lugglio del 2004 e nascere nuovamente nonostante la retinopatia, le apnee, il versamento bilaterale parziale al cervello comunicatoci poco prima delle dimissioni.

Pensare che qualcuno dall'alto (forse i nonni medici) abbiano preso sotto la propria ala il piccolo Eugenio.

Cambiare città perchè la nostra Roma è troppo piena di smog per il nostro piccolo che ha anche bisogno di fisioterapia e qui per farla solo due volte a settimana bisogna attraversare la città.

Trasferirici ad Ancona, subire anche l'offesa di parenti e amici che non capiscono la nostra decisione (esagerati) anzi ad alcuni diciamo che, per via del lavoro, abbiamo dovuto (costretti) trasferirci.

Attraversare le crisi di nostra figlia adolescente che ha dovuto abbandonare la sua vecchia vita, amici, scuola...

Combattere sempre ma ridere allegramente di ogni piccolo progresso di Eugenio che è un bambino allegro, ride di cuore e ci fa dimenticare con la sua dolcezza e la sua cocciutaggine il trascorso sempre piu' lontano, sempre piu' sfocato....

Sono felice di aver resistito, felice che il mio piccolo mi guardi con la faccia furbetta.