A DISTANZA DI CINQUANT’ANNI L’INDICE APGAR CONTINUA A ESSERE UN OTTIMO INDICATORE PROGNOSTICO NEONATALE

Virginia aveva visto giusto


Non è ancora giunto il momento di cancellare l'indice di Apgar dai testi di neonatologia. Il noto sistema per valutare la condizione e la prognosi dei neonati, introdotto nella pratica clinica mezzo secolo fa, non è affatto rudimentale e semplicistico come sembra e come in molti erano ormai portati a credere. Anzi: uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine dimostra non solo che è ancora attendibile, ma che è addirittura più predittivo delle analisi moderne e sofisticate che stavano tentando di soppiantarlo.
Nel 1952 Virginia Apgar, ostetrica e anestesista allo Sloane Hospital for Women di New York, ideò un sistema per valutare la condizione generale dei neonati appena venuti alla luce. Si trattava di sommare cinque numeri corrispondenti ad altrettanti parametri valutati, con la semplice osservazione clinica, un minuto dopo la nascita: la frequenza cardiaca, l'attività respiratoria, la reazione agli stimoli, il tono muscolare e il colorito della cute. Bastava assegnare a ogni segno un punteggio da zero a due, corrispondenti alla "peggiore" e alla "migliore condizione possibile", per ottenere un totale da zero a dieci, indicativo dello stato di salute del piccolo.
Il punteggio aveva ottenuto un rapido consenso, e ben presto era entrato a far parte della routine delle sale parto in varie regioni del mondo. Col tempo aveva perso anche il suo significato originale (cioè quello di valutare gli effetti delle pratiche ostetriche sulla salute del neonato) per assumere quello più impegnativo di indicatore della probabilità di sopravvivenza e della necessità di manovre rianimatorie. Si era poi deciso di spostare il momento del rilevamento a cinque minuti, invece che a uno, dalla nascita, in quanto la relazione con la mortalità risultava più forte.
Poi erano sopraggiunti i detrattori. Negli ultimi 25 anni il punteggio di Apgar è stato accusato di non identificare con sufficiente accuratezza l'asfissia perinatale e i ritardi nello sviluppo neurologico. Nulla di sorprendente, del resto, visto che non era stato pensato per questo. Veniva inoltre messa in discussione la sua validità nel caso dei neonati prematuri per i quali, si diceva, necessariamente l'Apgar è basso (basti pensare al colorito o alla respirazione) a prescindere dalle condizioni reali di salute.
Le perplessità erano andate aumentando con l'avvento di nuove indagini cliniche più sofisticate della semplice osservazione. All'antiquato Apgar veniva contrapposto, per esempio, un esame più moderno e preciso come la misurazione del pH del sangue del cordone ombelicale. L'American College of Obstetricians and Gynecologists, in concerto con l'American Academy of Pediatrics, aveva addirittura firmato Uso e abuso del punteggio di Apgar, una pubblicazione che ne enfatizzava i limiti e spingeva per un suo accantonamento.
Il punteggio di Apgar sembrava insomma sul viale del tramonto. Senonché un'équipe del Southwestern Medical Center di Dallas, in Texas, ha pensato bene di chiarire la questione attraverso un'analisi retrospettiva su oltre 150.000 neonati (tra cui circa 14.000 prematuri) nati tra il 1988 e il 1998.
Di tutti loro era documentato tanto il punteggio quanto l'analisi del cordone. E - sorpresa - i dati emersi sono a favore dell'indice obsoleto. "I piccoli con un Apgar minore o uguale a tre, prematuri e non, hanno effettivamente un rischio più alto di mortalità neonatale" riporta Brian Casey, alla guida del gruppo texano. "Non solo: il punteggio di Apgar risulta essere un predittore della mortalità migliore dell'analisi del sangue del cordone, anche nel caso di neonati con acidosi grave". E non di poco: il rischio di morte nei bambini a termine con punteggio inferiore a tre era otto volte maggiore di quelli con un pH ombelicale inferiore a sette.
La fine del punteggio di Apgar è dunque ancora lontana. "Ogni bimbo che nasce in un ospedale moderno in qualsiasi parte del mondo viene visto anzitutto dagli occhi di Virginia Apgar" è stato detto. Continuerà a essere così, anche nel ventunesimo secolo.

Marta Erba© 2001 Tempo Medico (n. 695 del 1 marzo 2001)